Davide Paitoni ha ucciso il figlio Daniele di 7 anni con una coltellata alla gola e ha nascosto il suo corpo in un armadio di casa, poi ha cercato di uccidere la ex moglie da cui si era separato per cui, leggo, provava un profondo disprezzo.

La storia la conosciamo, simile a molte altre, tu mi lasci e io ti anniento distruggendo la cosa più cara che hai.

Si poteva evitare?

Perché prima di questo figlicidio e di un tentato femminicidio sono successe cose.

Innanzitutto era stato aperto un codice rosso per maltrattamenti in famiglia, si apprende dagli inquirenti che i presunti maltrattamenti segnalati sarebbero cominciati nel 2019 e non sarebbe stata la moglie a denunciare, ma altri.

Inoltre l’uomo si trovava agli arresti domiciliari, per aver tentato di accoltellare un collega lo scorso 26 novembre.

Ecco, nonostante questo, l’uomo aveva ottenuto l’affidamento del figlio per trascorrere il Capodanno con lui, come previsto nel provvedimento di separazione.

E chi di noi è passata da una separazione difficile sa cosa voglia dire far capire che si ha paura, che, alla fine, si tenta di conciliare per placare la violenza psicologica o fisica, perché se non concedi sei una madre perfida, una donna che vuole distruggere definitivamente la vita del marito.

Lui, uomo, ha diritto ad essere padre anche se è violento, anche se ci sono dei precedenti. Giustificato è protetto.

Ha diritto sempre anche sulla vita, non solo non si tutelano le donne ( 116 femminicidi) ma anche quella dei figli.

Uno degli errori di base è quello di pensare che la violenza di questi uomini sia legata solo alla separazione dalla moglie.

Ma un marito violento è un padre violento è un uomo violento e l’unica cosa che può cambiare è “l’oggetto” verso cui viene sfogata quella violenza.

Non c’entra niente la separazione di per sé, semplicemente quella violenza era sommersa, un fatto privato che si “smazza” la donna di turno. Come è quel detto? I panni sporchi si lavano in casa.

Questo è l’altro problema: la violenza rimane un fatto privato, diventa pubblico solo quando le donne e i loro figli vengono uccisi.

Non si fa ancora abbastanza per le donne, per la loro tutela, non le si protegge con il lavoro, ad esempio, con i servizi, ad esempio.

Non le si protegge in fase di separazione e le si ricatta sul mantenimento dei figli e sul tempo. Anche questa è violenza, a cui generalmente la donna cede, nella speranza di essere lasciata in pace.

Ma la violenza di quell’uomo non cessa, spesso, trova un’altra vittima, un’altra donna resa fragile dal nostro sistema patriarcale e maschilista.

Persino il Papa ha parlato di violenza contro le donne, mentre sfilavano vescovi e cardinali e non si vedeva traccia di un volto religioso femminile in Vaticano, ( a parte le suore) il che mi è sembrato un ossimoro. Nel suo discorso, ad un certo punto, ha sottolineato l’importanza delle donne come generatrici di vita.

Vorrei che la nostra vita valesse come persone.

Invece, per tutto il sistema sociale, politico e religioso, siamo ancora “oggetti” di appartenenza: incubatrici, mogli, madri.

Non siamo donne e i nostri figli non sono bambini come Daniele.

Penny

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