[

Una settimana fa sono andata in tribunale, sono finita nello stesso posto in cui è iniziare la mia separazione, più di undici anni fa.

All’epoca ero entrata molto fiduciosa, pensando che quello fosse il luogo delle scelte giuste. Ho sempre fatto quello che mi è stato chiesto credendo nella conciliazione: su signora…ho conciliato la cifra del mantenimento per le mie due figlie durante la separazione perché lui era in difficoltà ( 200 euro a figlia), all’epoca pagavo un affitto di 600 euro al mese; su signora…ho conciliato e eliminato le spese straordinarie nel divorzio sempre per facilitarlo e trovare un accordo ( 300 euro a figlia onnicomprensivo).

Ma la conciliazione non è servita, perché il mantenimento per le bambine, poi diventate ragazze, non arrivava o attivava dimezzato.

Così, io che credo nelle cose giuste ho continuato.

Rinuncia mi dicevano delle mie amiche separate che avevano gettato le armi da subito per non avere problemi. Lo faccio per le mie figlie, rispondevo, perché ci sono cose giuste e io gli devo insegnare a non avere paura.

Così, lui è stato condannato. Ho pensato: capirà. E invece seconda condanna penale con quei due mesi di carcere a sospensione immediata se faceva il suo dovere. Capirà: ho pensato. Invece non è ancora successo nulla.

Lui lavora, ma la ditta è intestata a un suo parente; per un po’ di tempo non ha avuto residenza, ora è sposato con prole. Durante questi anni ho trovato un giudice, dopo un elenco di tutte le spese a cui non riuscivo a far fronte, che mi ha detto: su signora, non è che sta esagerando? Avvocati ( ne ha cambiati parecchi che quel su signora ce lo avevano sulla lingua). Nonostante lui avesse uno spazio di parola piuttosto ampio perché era l’accusato, non ricordo che gli sia mai stata fatta una richiesta di conciliazione.

Nel tempo ho imparato a non alzare la voce come lui, altrimenti, passavo immediatamente dalla parte del torto. Ho imparato a trattenere la rabbia, a non manifestarla. Sono diventata scrittrice per salvarmi e per avere un altro introito e riuscire a mantenere le mie figlie.

Ovviamente tutte le mie richieste giuridiche giuste (se fossi stata ricca me ne sarei fottuta, ma sarebbe stato corretto?) portavano a ricatti e prevaricazioni su un altro piano, quello emotivo. Figlie di mezzo.

Dovevo conciliare per questo? Alcuni pensano di sì e molte volte l’ho pensato anch’io.

L’ultima volta in cui sono entrata in tribunale è stata dieci giorni fa, questa volta ero con la mia diciassettenne, portavo la sua di voce, quella di potersi vaccinare. E questo mi è costato in termini di soldi ( me lo sarei evitata) a lei in termini emotivi, perché di fatto andava contro la volontà di suo padre.

Anche questa volta c’è stato un giudice e un’avvocata ( la sua, una nuova…) che hanno prima uno e più l’altra inclinato il capo e mi hanno detto: “Signora su, magari questa volta le cose andranno bene, magari vostra figlia vi vede andare d’accordo”.

Come se dietro alla storia di quel padre non ci fosse una storia giuridica, a differenza della mia. Come se il piano fosse lo stesso.

Quando sono uscita, ho preso mia figlia che mi aspettava in corridoio e l’ho portata via velocemente da quel luogo giusto. Sono fiera di te, le ho detto. Ed era vero, perché ha quasi diciotto anni e il diritto di scegliere per la propria salute e anche se aveva paura non si è tirata indietro. Ha voluto farlo e io l’ho spiegato al giudice: non portano la mia voce ma la sua. Così come tutte le volte che sono andata in causa: era alle mie figlie che veniva negato un diritto, dove sta il conflitto tra i coniugi?

Però, dentro di me, a tratti, dopo questi undici anni, spunta la stanchezza e spuntano le domande: ma se avessi rinunciato subito alle richieste di mantenimento lui sarebbe stato più malleabile? Se avessi rinunciato, le mie figlie sarebbero state meglio?

Poi, torno ancora più indietro e vado alla decisione di separarmi e ricordo le prime confidenze e le prime richieste immediate di conciliazione: ma sei sicura? Lo sai che fanno tutti così! Provaci ancora un po’…magari se abbassi i toni…

Persino in consultorio- perché le ho provate tutte- mi hanno chiesto di conciliare. E, allora, mi domando come si chiami questa conciliazione e ho solo un nome che mi pulsa nella mente: violenza.

La violenza degli uomini, così intrisa anche nella cultura, persino quella giuridica, da essere confusa con la conciliazione.

E ho solo una risposta dentro al cuore: andrò avanti, per me, per le mie figlie, e nel mio piccolo, per dare un segno a tutte le le altre donne; quelle come me che provano a uscire dalla sottomissione.

Perché la richiesta di conciliazione, spesso, è una richiesta di accettazione della prevaricazione e della violenza, non ha nulla a che vedere con la lite tra coniugi.

La mia storia è iniziata un giorno di settembre, quando ho capito che volevo essere libera. Ho scoperto che alle donne viene sempre chiesto di conciliare, come fosse un’attitudine. Invece è una schiavitù avallata dal sistema.

Penny♥️

Se avete piacere leggetemi qui⬇️

https://www.ragazzimondadori.it/libri/la-scuola-e-di-tutti-le-avventure-di-una-classe-straordinariamente-normale-cinzia-pennati/

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-

https://www.giunti.it › catalogo › il-…Il matrimonio di mia sorella – Giunti

2 comments on “La conciliazione non è un’ attitudine femminile ma una schiavitù avallata dal sistema, anche giuridico.”

  1. Grazie per questo post! Mi sono riconosciuta in ogni singola sillaba, come probabilmente farebbe la quasi totalità delle donne separate con figli. Ci spingono alla conciliazione e cercano di minimizzare i soprusi per non ammettere che non ci sono tutele contro la prevaricazione e la violenza psicologica che subiamo. Tutti i santi giorni! Punto!

Rispondi