Ho imparato, ma ci ho messo tanto. Ho attraversato la terra dell’asservimento e me la sono lasciata alle spalle.

Non perché l’altro, l’uomo fosse il cattivo, a volte lo è, ma perché nato con un privilegio, spesso, non si rende conto di dettare regole e umori.

E noi, dentro al matrimonio e a relazioni, cerchiamo di salvarci come possiamo. A volte negoziando spazi tra un muro e l’altro, a volte li neghiamo.

È più facile essere infelice? Non lo so, me lo sono chiesta; dico alle mie figlie di fare attenzione, che l’infelicità per una donna è spesso chiamata compromesso; di certo, vedere spazi di felicità è così doloroso che a volte preferiamo essere miopi.

Il suo umore, quello dell’uomo, detta le regole, la sua voce si alza, non lascia mai l’ultima parola.

Hai ragione, non ci avevo pensato. Quante volte se lo sente dire una donna?

Se non facciamo proprio quello che ci si aspettava da noi, una dedizione scontata, arriva subito la sua occhiata di rimprovero -quasi impercettibile agli altri ma che conosciamo bene- così cediamo alle sue richieste perché lui non tenga i musi, perché siamo stanche di litigare, perché è sfiancante la rivendicazione della parità.

A volte non dovremmo fare vacanze o farne di più per imparare a stare insieme, dentro alla quotidianità, piena di incombenze, in fondo è più facile.

Si sopporta di più, non c’è spazio per guardare davvero. se non vuoi. Bisogna avere pazienza, eccola la ninna nanna.

Non dobbiamo essere troppo sceme, nemmeno mediocri: studia, sii brava, ma poi con la tua laurea fai un passo indietro, perché sarà lui ad avere il posto meno precario e più pagato, tu a dover rinunciare.

Diventa mite, attenta ai bisogni di tutti, partecipa, ma non osare, non ti sarà perdonato (questo non lo dicono mai).

Non rispondere altrimenti sei pazza, isterica, sempre la solita scassacazzi a cui non va mai bene niente, rovini sempre tutto

L’altro non riconosce mai che ha alzato la voce prima di te e per farti ascoltare l’hai alzata anche tu, dovremmo essere così brave da fermarci un attimo prima e guardarlo con gli stessi occhi con cui ci guarda lui: sgranati e increduli e rimandare la pazzia al mittente.

Ho imparato ma ci ho messo tanto, ho terminato le scorte di dedizione, ho lasciato che si snervasse delle mie scelte “egoistiche”.

Gli uomini vanno educati, Dio quanto è vero, se non li vogliamo per sempre bambini; ma non dovrebbe essere un nostro compito.

Ho imparato anche questo, non devo educare nessuno, convincere nessuno di ciò in cui credo; vedo l’uomo e il suo bisogno di sentirsi virile, vincente, anche in discussioni puerili, lo lascio solo al suo gioco.

E, Dio è un grande sollievo, non occuparsi di lui ma di me. Non pensare a quello che lui può pensare. È un grande sollievo.

La mia è diventata una resistenza passiva, anche sulla derisione di ciò che non voglio più fare. Puoi continuare a dirmi che non faccio questo o quello, non cucino abbastanza, non stiro, non compro in modo oculato ecc… ma io continuerò a non fare questo o quello, se non mi piace o non mi va.

Solo con le mie figlie scendo a patti, ma nemmeno più tanto con loro, e appunto sono figlie.

Lo so che queste parole possono sembrare crude e piene di risentimento verso il genere maschile, perché anche questa è un’etichetta che viene affibbiata quando si cambiano le carte in tavola alla consuetudine della narrazione e si racconta una storia di relazione diversa. Me ne farò una ragione.

Eppure, è grazie a queste consapevolezze che non sono solo una sopravvissuta ma partecipo alla mia vita, guardando quello che c’è e non quello che gli altri si aspettano da me in quanto donna.

Ognuna di noi è stata dentro almeno a una parte di queste parole, sa bene di cosa parlo, di quel brusio a cui, a volte, non riusciamo a dare un nome. Di quel perenne annullamento che condiziona le nostre esistenze.

Tutti i matrimoni hanno una sottomissione femminile, inutile negare (anche se qualcuna avrà bisogno di farlo), perché il contesto sociale, economico e politico è in disequilibrio.

Non parlo per nessuno, sto imparando a farlo per me e per tutte quelle donne che si sentono pazze, esagerate, avvertono un crepitio logorante. A loro sento di appartenere.

Sono la mia gente e ciò che desidero per loro è quello che avrei voluto per me a suo tempo: rispetto del sentire.

La mia è una narrazione crudele, lo so, ma per capire come amare, amarmi e farmi amare, ho dovuto guardare.

Penny♥️

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Foto da: Unorthodox, miniserie televisiva tedesca e statunitense creata da Anna Winger e Alexa Karolinski, basata sull’autobiografia del 2012 di Deborah Feldman ex ortodossa.

11 comments on “Ogni matrimonio prevede una sottomissione femminile.”

  1. Condivido il tuo punto di vista. Anch’io ho mediato tanto e sopportato altrettanto….adesso molto meno, ho imparato a rimandare al mittente le occhiate di disapprovazione e non tollero assolutamente più che mi si dica “sei fuori di testa” o simili per ogni stupidaggine legata all’economia domestica. Non sono libera del tutto da questa sottomissione ma ho imparato a darmi spazio e tempo e ad esprimere le mie emozioni, di qualunque tipo esse siano. È un lungo viaggio ma non si torna indietro. Un grande abbraccio a te Penny, sei la voce e il coraggio di molte di noi.

  2. Finalmente l’ho capito… Ieri per la prima volta dopo 3 anni ho pensato solo a me, perché a vivere nell’infelicità si finisce per odiarsi. Non siamo principesse da salvare, siamo noi stesse le nostre salvatrici. Non aspettate qualcuno, perché nessuno arriverà. Siamo noi le artefici del nostro destino. È vero a volte imbarchiamo tanta acqua, ma ci basta un pianto per eliminarla, ritornare a galla e ricominciare con noi stesse. Grazie Penny per le tue parole, grazie da figlia, grazie da madre, grazie per non farmi sentire in colpa.

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