Per molto tempo ho lacciato correre le piccole cose, poi le piccole cose si sono sommate e un giorno qualunque sono diventate una montagna di sofferenza.

Ho guardato quella montagna che mi sbarrava la strada e le ho chiesto: “E tu da dove spunti?”.

Lei mi ha risposto: ”Sono sempre stata qui”.

Non le ho creduto, era impossibile che non mi fossi accorta della sua presenza, si stava prendendo gioco di me.

“Menti!” ho esclamato sperando che si spostasse e mi permettesse di continuare la strada che conoscevo.

Lei ha alzato le spalle, non sembrava interessata alle mie richieste, stava lì, ancorata a sé stessa, sapeva di essere la più forte tra le due.

Era così ingombrante che mi impediva il passaggio, ho fatto finta di nulla e poi ho provato a negoziare, ma Lei mi ha detto: “È troppo tardi”.

Ho avuto paura di dover rimanere per sempre in quel regno.

Ho provato a scalare la montagna ma quando mi sembrava di toccare la cima scivolavo giù e ritornavo ai suoi piedi.

Mi sono messa a piangere, l’ho implorata ma non c’è stato nulla da fare, era insensibile al mio dolore.

Poi un giorno mi ha detto con la voce del vento che dovevo solo fidarmi di Lei.

Aspettava me, questo l’ho capito dopo.

Aspettava che io la guardassi con gli occhi della meraviglia, che scoprissi le crepe e la friabilità delle sue pareti, che raccogliessi i pezzi di roccia e li tenessi tra le mani.

Che mi limitassi a vederla.

Ero stremata, piena di ferite, sanguinavo e ho provato compassione per me stessa.

“Finalmente” ha detto Lei con la voce del vento.

Al sopraggiungere della sera mi sono addormentata ai suoi piedi. La luna, quella notte, era vicina, credo di averla toccata.

È stato allora che il tempo ha assunto un prezzo diverso.

La montagna ha incollato i sogni di una bambina rotta e ha cantato una ninna che diceva: ci sei.

Quando mi sono svegliata era giorno e la montagna non c’era più.

Al suo posto c’era una strada ma non la stessa conosciuta di prima; era piena di curve morbide come seni, fatta di terra e conchiglie azzurre, attorniata da lecci e olmi.

Non sapevo dove mi avrebbe portato quella strada, in fondo c’era una quercia, sopra al ramo più alto era posato un pesce alato rosso e viola, era la cosa più bella che avessi mai visto.

Sapevo che dovevo inoltrarmi, percorrerla fino in fondo e che prima o poi avrei rivisto la montagna e mi avrebbe indicato la strada di casa.

La sofferenza, persino la più spaventosa, ha sempre qualcosa da rivelarci

e cura tutti i cuori, anche il più ferito.

Penny ♥️

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