Il mio lavoro mi piace. É aria e ossigeno. Difficilmente mi sveglio non avendo voglia di prendere il mio posto.

Ho fatto le magistrali e sono entrata in un corso a numero chiuso parauniversitario. Ho superato un concorso nazionale piú di 20 anni fa, e questo mi ha permesso di essere autonoma economicamente da subito. Mi ha permesso di centrarmi. Di vivere da sola e di avere fifa nel farlo. Di approfondire. Di partorire due figlie (ho lavorato in entrambi i casi fino all’ottavo mese) e di allattarle. Tornare al mio posto con gioia (dopo tre mesi) e ricominciare con piú forza.

Mi ha permesso di fare scelte come quella di separarmi ed essere piú felice.

Uno stipendio da insegnante con due figlie a carico non é il massimo. Ma se sono riuscita ad andare a vivere da sola, fare dei figli e divorziare, é in nome di questi 1500 che mi arrivano ogni mese. Degli sforzi fatti per arrivare fin qui, e della fortuna di aver imbroccato la strada giusta alla prima.

Non a tutte va cosí bene. Ne sono consapevole.

La verità é che la maggior parte delle donne parte in  svantaggio. Che per noi avere una famiglia comporta un terno al Lotto.

É difficile parlare di autoaffermazione quando non si hanno le basi per poter anche solo pensare all’autonomia, figuriamoci alla realizzazione.

La differenza tra la nostra posizione e quella degli uomini sta tutta nella partenza.

Continuitá nel lavoro, e stipendi piú alti.

La nostra felicitá é difettosa all’origine. Qui é lo Stato che dovrebbe metterci una pezza. Garantire quei diritti minimi a noi donne per poter essere una societá civilizzata.

Se gli uomini partiranno sempre da una posizione di potere “sociale” noi saremmo sempre a traino. E quel potere potrebbe trasformarsi in un attimo in prepotenza, violenza, morte.

Esagero? Forse. Ma dovremmo cominciare da lí. O meglio loro dovrebbero cominciare da lí, che noi giá ci reinventiamo parecchio per non perdere autobus, bambini e far funzionare le cose.

Noi donne, peró, dovremmo dirla tutta alle nostre figlie, come ad esempio che la famiglia ha un costo (ed é quasi tutto per noi donne).

Dovremmo spingerle con forza a pensare a loro stesse, prima che a un marito e a un figlio, invece di star lí a tirare un sospiro di sollievo quando si fidanzano e indirizzarle verso la favoletta del matrimonio, spendendo tempo ed energia in sogni in abito bianco.

Dovremmo giocare d’anticipo. Che il costo della famiglia andrebbe equamente distribuito.

Mettere quelle basi necessarie per stare bene. Partire alla pari insomma, e vedere in corsa se aggiustare o assestare il tiro.

Con la cavolata del romanticismo, lasciatemelo dire, ci fregano di brutto.

L’ uomo in ginocchio e la donna lacrimevole gonfia di felicitá.

Che essere felici é averlo un lavoro e poterselo mantenere scegliendo di fare dei figli.

E il romanticismo é sapere di poter dormire sonni tranquilli vicino a un uomo che ci ami, e ami la nostra indipendenza. Che il giorno dopo non freghi la poltrona ad un’altra donna solo perché si é fermata per allattare il suo bambino.

Il romanticismo é poter scegliere di essere liberi in un rapporto. E la libertá non é possibile se si dipende.

Il resto sono menzogne che ci raccontano per farci stare buone.

Ecco. Vi capisco. Capisco chi non ce la fa a lottare per la propria felicitá. Quella felicitá che é un opnional, altroché.

Capisco chi resta e basta. Chi ha perso il lavoro o viene sfruttata perché o é troppo giovane o troppo vecchia. (Chissá perché non abbiamo mai l’etá giusta).

Diciamoci la veritá i contratti, per noi donne, dipendono da quando e se abbiamo figliato. E se ci costringono a scegliere tra la carriera e la famiglia, sappiamo bene dove pende l’ago della bilancia.

E lo sanno anche loro. Per questo giocano al ribasso.

Siamo e continuamo a essere una societá maschilista. E noi donne spesso alimentiamo la favola del cavaliere sul cavallo bianco che ci salva, non rendendocene conto.

E siamo le prime a pagarne le conseguenze.

Per gli uomini le cose non cambiano, se non quando qualcuna di noi si sveglia e decide che non ce la fa piú. E butta all’aria tutto.

Per noi la famiglia ha, spesso, il  costo della nostra felicitá.

E non dovrebbe.

Dovremmo avere un lavoro. Poterlo mantenere. Decidere di fare un figlio e poterci persino realizzare. Come succede agli uomini.

Si chiamano diritti.

É questa la favola che andrebbe raccontata. Con un unico lieto fine.

Una felicitá giusta. Equamente distribuita. Possibile.

“Vissero felici e contenti nel lavoro che fu”.

Perché se il lavoro nobilita l’uomo, dovrebbe essere cosí anche per la donna. Di piú. Mi verrebbe da dire, visto che si fa un mazzo tanto. E nel frattempo mette al mondo i figli. Il che, scusatemi, non é poco.

Intanto lo sapete. Non staremo ferme e come sempre ci rimboccheremo le maniche. Con o senza di voi.

Penny

5 comments on “Il costo della famiglia.”

  1. Tutto verissimo. Mi hanno cresciuta così…mia madre era ed è così, dell’idea che la una donna è ok, giusta, solo se riesce a realizzarsi dal punto di vista della famiglia. Sposandosi. Mettendo al mondo figli. Io non sono stata abbastanza forte da capire che tutto questo era una gran bella menzogna travestita di romanticismo. Tuttavia ho studiato, ho preso due lauree, ho un lavoro con uno stipendio dignitoso e tante altre attività extra che mi permettono di arrotondare. Ho la mia indipendenza economica. Difesa con le unghie e i denti. E qui viene il bello. Qui viene la fregatura. Sono sposata. Ho un figlio. Sono in piena crisi matrimoniale. Mio marito vorrebbe fare un altro figlio. Proprio adesso. Io ovviamente non posso fare questa cosa. Non posso mettere al mondo un’altra vita per usarla da collante al mio matrimonio. So che la cosa giusta da fare sarebbe andarmene perché sono innamorata di un altro uomo e vorrei la MIA VITA. Quella scelta da me e non costruita adeguandomi a degli stereotipi. Mi sono resa conto maturando in questi anni di aver fatto tante cose, aver scelto anche, offuscata dall idea che le cose andavano fatte in un certo modo, come me le avevano inculcate. Ora so che non è affatto così ma liberarsi di certi retaggi culturali è durissimo. Percio indipendenza economica o no ti senti fregata…letteralmente.
    Invidio e ammiro chi ci riesce. Come te per esempio, carissima Penny.
    Riscattiamo le nostre figlie da queste convenzioni. Saranno certamente donne che ameranno nel modo giusto inanzitutto se stesse e poi tutto ciò che le circonda.

    • La speranza é quella. Che siano piú capaci di amare. Per quanto riguarda me non c’é niente da ammirare. Arriva un momento in cui non é possibile fare di

    • É quello che si spera. Che le nostre figlie siano migliori di noi. Per quanto riguarda me non c’é niente da ammirare , arriva un momento in cui non é possibile fare diverso. Ho sofferto e tanto. Mi sono retta parti di me negative agli occhi degli altri. Ne é valsa la pena. Ma ognuno ha la sua storia, non so se si tratta di coraggio…fai quello che senti ma non rinunciare alla tua possibile felicitá. Non togli niente ai figli, solo a te stessa. L’amore per loro rimane sempre. Ma lo sai. Ti abbraccio tanto Penny

  2. Che fatica, Penny. La volontà di non rinunciare ad un lavoro sognato, faticato, meritato, anche sottopagato, é spesso messa a dura prova. Bisogna dimostrare di non essere “mamme” dentro per essere credibili. Come se la gravidanza potesse cancellarti neuroni e anni di studio. E allora ci si adatta, si accetta di essere “flessibile” perché “tappabuchi” pare brutto, perché domani tuo figlio potrebbe avere la febbre… Sognando un part-time continuo a fare tardi per dimostrare di non essere cambiata, che invece lo sono molto più nella testa che nel fisico. Un giorno alla volta, continuo a non mollare. Per essere anche esempio per mio figlio, anche se nella stanchezza. Ma in fondo, soprattutto per me.

    • Ti avevo scritto un commento che chissà perché è andato perso, comunque sono perfettamente d’accordo con te. Dobbiamo sempre dimostrare qualcosa e, a volte, persino a noi stesse. Ci confondono su quello che dovremmo essere e non siamo. Invece siamo molto di più, solo che fa un po’ comodo a tutti pensare che non sia così. Fai bene a non mollare, soprattutto per te stessa. Fai bene se ti rende felice. Un giorno tuo figlio crescerà e avrà alle spalle una madre che ha provato a costruire altro. Io credo ce la faremo. Con fatica, ma ce la faremo. Ti abbraccio Sara. Grazie di essere passata di qui. Penny

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