Quando le tue ex alunne si incontrano per una cena, si fanno una foto e te la mandano. E tu sai che un po’ ci sei, anche se non ci sei più. Ci sei stata quando erano piccole, però.

E ricordi tutto, come un’ emozione. E quello che ricordi non ha a che fare con i voti, ma con il loro essere. Per quello, rimane dentro. Inciso.

E guardandole mentre sorridono per te, ti chiedi se hanno imparato a volersi bene, se hanno imparato che il mondo va oltre le mura di casa e l’amore. Se ameranno le loro imperfezioni come le hai amate tu.

Speri in loro come donne. Speri nel loro impegno. In fondo ci hai sempre creduto. Perché abbiamo un compito noi insegnanti, l’unico a cui siamo davvero chiamati: credere nei ragazzi, spingerli verso l’accettazione di sé e degli altri.

Amare le diversità che appartengono a tutti e non respingerle, come si respinge lo straniero.

Ché siamo tutti un po’ stranieri persino a noi stessi.

E, al contempo, speri di aver lasciato qualcosa, come un’eredità, anche piccola. Perché loro l’hanno fatto,  ti hanno cambiata, resa una donna e una madre migliore.

Non siamo avversarsi noi insegnanti.

Siamo quelli che devono cercare ciò che è invisibile agli occhi. Andare al di là della storia scontata e possibile. Credere nell’impossibile e spingere perché le cose accadano. Come i cambiamenti.

E non sarà un quattro o un cinque a dirci chi sono i nostri ragazzi. Saranno le parole che sapremo ascoltare, le azioni che cercheremo di capire, il cuore che proveremo a sentire.

Mi mancano, a volte. Come mancano le cose belle della vita. Eppure è proprio la vita, l’esistenza che porta i nostri ragazzi altrove. Verso il mondo. Nella speranza che se ne prendano cura.

Abbiamo un compito noi insegnanti: spingere affinché ciò accada. Ché non si dimentichino nemmeno per un attimo ciò che conta.
Che non si dimentichino che l’importante non è dove arriveranno, ma le persone che saranno.

Ché a pensarci, per noi insegnanti, per l’educazione, per il compito a cui siamo chiamati, è un bel cambio di prospettiva. Ché a pensarci la Scuola ritrova il suo senso. E noi insegnanti pure.

Penny
#ilmatrimoniodimiasorella.

8 comments on “Noi insegnanti non siamo avversari.”

  1. “Speri in loro come donne. Speri nel loro impegno. In fondo ci hai sempre creduto. Perché abbiamo un compito noi insegnanti, l’unico a cui siamo davvero chiamati: credere nei ragazzi, spingerli verso l’accettazione di sé e degli altri”. grazie cinci , per sempre tua

  2. Cara Penny, condivido in pieno il senso del tuo post.
    Vorrei che le insegnanti fossero questo per i miei figli.
    Io ho un ricordo bellissimo delle elementari, forse il più bello legato al ciclo scolastico considerata pure l’università.
    Le mie maestre di allora, forse 35 anni, erano delle “illuminate”; magari non nel senso che intendi tu con questa attenzione verso l’interiore – erano altri tempi – ma comunque con tantax sensibilità.
    Mi hanno trasmesso la passione per la creatività, la condivisione, il rispetto della diversità, la multidisciplinarieta’, la scoperta del mondo oltre il confine del comune.
    La maestra Francesca portò me ed una mia amica allora forse avevamo 9 anni allo Sferisterio di Macerata perché aveva due biglietti ed i figli non vollero seguirla.
    Il malato immaginario di Molière…
    Ma ti rendi conto?!?!
    Visionarie soprattutto se paragonate a quello che a volte si vive oggi!
    Poi è pur vero che tutto questo sarebbe bene venga coltivato a casa…io non potevo i miei non hanno studiato e erano operai…
    Ma forse l’insegnamento di allora ed il valore di esso li sto riscoprendo ora!
    Un abbraccio

    • Che meraviglia…dovrebbe essere così. Dovremmo dare il massimo noi insegnanti, credere, fornire possibilità. Guardare le cose che mancano a spingere affinché nessuno si senta meno di qualcun altro…Accadono incontri nella vita e hanno del miracoloso. Almeno per me. Io non sono stata un’alunna fortunata, forse per questo sento di dovermi fare in quattro. Che poi quello che do è niente rispetto a ciò che ricevo.? Baci Penny
      PS anche il nostro è un po’ un incontro…

Rispondi