L’altro giorno mi sono capitate delle fotografie delle girls quando girls non lo erano ancora. E il mio mondo era dentro al loro in un unico assemblaggio.

Ora é tutta un’altra storia. Mi sembrano ragazze inquiete e penso che mi piacerebbe riavvolgere il nastro, e ricominciare tutto da capo.

A volte, quando le giornate si fanno buie, vorrei esser stata un’altra madre. Capace di stare. Poi penso che no. Ho imparato a perdonarmi. E il mio amore per le mie figlie passa da qui.

Dal perdono.

La loro irrequitezza é anche la mia. Forse é una questione di geni e come il colore degli occhi trasmettiamo anche parti di anima.

Ogni tanto le osservo. Vedo un naso, un’espressione che non é la mia. Chissá cosa hanno preso da loro padre, e cosa si porteranno dietro. Di me e lui per sempre.

Spero riescano a essere migliori di noi.

Ricordo noi tre, io e le girls, dopo la separazione. In un lettone che era diventato un riparo dalle intemperie.

Durante il giorno poteva essere successo di tutto, ma in quel momento il fuori era sospeso.

Quello è sempre stato il tempo della riconciliazione. I corpi vicini, la lotta per farmi stare in mezzo. Sapevo che non avrei dormito. Solo per stanotte, dicevo.

Ricordo l’odore. Le gambette da grillo della piccola che spingevano per incastrarsi nelle mie. L’altra che si incuneava come per ritornarmi dentro.

Non capita più. O capita di rado. Noi tre nel lettone. Ma ora é tutto diverso. Ci sono le risate, gli sbuffi per i corpi troppo ingombranti. Cinque minuti e vorremmo essere altrove.

Eppure stiamo lì a strapparci la coperta diventata stretta. Come dovessimo avere un alibi per restare.

I corpi vicini accocciarno le distanze. E aiutano.

Il corpo resta nel cambiamento. E ci parla una lingua che sa di conoscenza.

Allora, quando le ho vicine so che ci stiamo riconciliando. E se ci perderemo in qualche anfratto o angolo di sofferenza, sapremo come ritornare.

Non ci sará più un lettone né piedi attorcigliati, ma ci saremo noi tre. In qualche modo ci sará un corpo, un odore, un attimo di ricordo che sará stato nostro.

Basterá sfiorarci, e ritornerá. Ne sono sicura. D’altronde siamo stati un unico assemblaggio per molto tempo. E questo non si dimentica.

Un profeta scrive che amare i figli sia un atto di adozione. Credo abbia ragione.

Aggiungerei un atto di adozione continuo. Li amo fuori di me. Oltre me.

Non é sempre facile come quando eravamo un unico assemblaggio. Ci vuole coraggio per amarci per quello che siamo. Ma é bello.

Forse di più.

Penny.

8 comments on “Il corpo dei figli e il nostro. Un unico assemblaggio del tempo che fu.”

  1. Sono emozioni che molto probabilmente solo una madre può provare. I figli crescono, ed ogni età ha i suoi lati positivi. Cerchiamo di goderceli il più possibile! Salutoni e buona giornata. E grazie per i bellissimi spunti. 🙂

    • Vero, almeno credo, solo una madre può provare, con annessi e connessi. Il rapporto con i padri mi sembra più libero grazie a questo non esserci stato di mezzo il corpo…magari dico delle scemenze. Comunque, a proposito della coerenza, come sostantivo femminile, io sconfesso spesso me stessa, e mi detesto quando succede. Non so perché lo dico, forse lo spunto sul tuo blog…A presto Claudio. Penny

    • Sono andata un po’ a sbirciare a che punto sei della tua vita. Mi piace quello scrivere di “getto” ( passami il termine), mi sembra di conoscerti. Mi sono fatta di te l’idea che sei una che si butta, non si piange addosso e si rimbocca le maniche. Ho letto Di Amazon e dei tempi di lavoro, non deve essere semplice. Ma tu porti il sole, almeno in quella parte di te che scrive per noi che leggiamo. Qui, in altri luoghi. Ti abbraccio tanto Penny.

  2. I corpi dei figli. Ultimamente, che il vedo così cresciuti, mi ritrovo ad annusarli, ad osservarli, come quando erano piccoli piccoli, a cercare qualcosa di me. “Li ho fatti io!” penso soddisfatta. Che la mia pancia abbia ospitato, nutrito e sfornato questi due bei proliferare di cellule bambine, ridacchine, mordide e in perenne movimento. Poi vedo anche io tutto ciò che proviene da dove so e dove non so, espressioni familiari o aliene, sguardi stranieri, sopracciglia come ricopiate, le forme delle unghie. Prima mie e ora no. E poi? E poi ci siamo noi, ancora in fondo al cordone ombelicale, al quale ci aggrappiamo come una fune di vela da guidare, o di Aquilone del quale meravigliarsi, o di guinzaglio da tirare….

    • Speriamo sia sempre di più un aquilone. Sempre meno un guinzaglio. Loro sono noi ma amche oltre noi. Credo sia una fortuna. Cara Martina ti abbraccio. Penny

  3. I corpi dei nostri figli. Quanti scrupoli, per quei magnifici templi della loro bellezza (ancora) bambina. Quante volte, proprio in questo periodo (i due bulldozer e le due girls sono praticamente coetanei tra loro…) mi attacco al “piccolo” e affondo il naso nei suoi capelli, letteralmente lo aspiro. Poi mi avvicino al grande e, con riguardo dato che ormai è più alto di me, faccio lo stesso, ripensando a quand’era piccolo. Poi mi dico “accetta il tempo che li cresce, e cerca di nutrirli al meglio, questi corpi fatti di anima, la loro anima” … che un po’ è anche la nostra, di noi genitori.
    E mi commuovo

    • E io leggendoti mi commuovo. Ti sento tanto vicina. So cosa provi cara Cinzia. So cos’é quella sniffata…sará un per sempre. Ti stringo Penny

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