Il mio compagno sabato è tornato da un viaggio di lavoro durato otto giorni. La girl grande sabato è andata al suo primo concerto con amiche a Milano. Sono state ospitate da una famiglia, amici di amici che neanche conosco, ma che non solo hanno trovato i biglietti gratis per lei e le sue amiche, ma le hanno pure accompagnate in giro. I santi esistono e sono tremendamente umani. E la cosa meravigliosa è che si mettano sul tuo cammino quando meno te lo aspetti.

Comunque, gli astri sembravano a favore, dopo otto giorni, io e il mio compagno avremmo potuto stare un po’ insieme. Dovevo solo liberarmi della girl piccola, che a dirlo così sembra brutto, ma io non so dirlo in altro modo.

Cercasi sistemazione momentanea per figli.

Noi genitori dovremmo appenderlo fuori dalla porta di casa, scriverlo sugli annunci di Subito.it o in quei circuiti delle “pancine” che tanto amano i loro pupetti. Si prendano un po’ anche i nostri, loro che sono devote devotissime!

Ovviamente la girl piccola non ne voleva sapere di andare dalla nonna, grugniva, le vuole bene, ma inizia a crescere.

“È sabato sera anche per me” ha bofonchiato.

Cerco, penso, medito, non è che potevo dirle: togliti dai piedi!

Mi ero quasi data per vinta, ma grazie a dio è giunta una mano tesa: una sua amica che avevamo ospitato il pomeriggio per i compiti, una di quelle che secondo alcuni ben pensanti non dovrebbero aver la cittadinanza, l’ha invitata a dormire a casa.

Improvvisamente le cose si mettono a posto. Si apre lo spiraglio. Ecco: qui casca l’asino. Le girls sono sistemate e io posso passare qualche ora con il mio lui. Invece è come se ogni volta provassi una resistenza a perdere qualcosa.

Ho l’amore e non ho loro, non lì, accanto a me. E viceversa.

Come essere ancora dentro alla pancia. Tutto il mondo è dentro. Io, loro, lui. La placenta. Un casino pazzesco. Che a pensarci mi vengono i capelli dritti.

Si chiama separazione, direbbe qualcuno, quella necessaria a far crescere i figli e mantenere la coppia, e che, spesso, viene meno.

Ricordo quando le bambine erano microbi e non vedevo l’ora di prendere una boccata d’aria; sistemavo le cose, mi tiravo il latte, e davo disposizioni precise: per andare a dormire vuole in suo coniglietto, se piange prova a metterla a pancia in giù… e la tata di turno (solitamente mia madre) mi spingeva fuori e mi diceva: ce la caveremo.

E quando finalmente ero fuori, con un vestito decente, un filo di trucco, senza rigurgiti sul maglione, mi sentivo persa. Avrei voluto essere lì e nel contempo tornare a casa e dire che mi ero sbagliata, che la mia vita era appiccate a loro, ai ciucci, alle nanne ecc…

Forse è questo che noi genitori dobbiamo imparare se non vogliamo fare casini: coltivare entrambe le parti. Invece spesso le confondiamo. Le sovrapponiamo e, alla fine, non si capisce più quando ci sia l’amore e quando ci sia solo accudimento nei confronti dei figli. A volte, loro sono i nostri scudi, attraverso cui nascondiamo la verità. A volte, l’amore ci assorbe e ci richiede quel “tutto” che non dovrebbe mai chiedere.

Non si può essere sempre presenti, non è giusto e non fa bene, ma nemmeno essere sempre altrove. Come un compromesso a mettere insieme e divide al contempo.

Noi separati impariamo prima dei “matrimoniati”, a perdere qualcosa. A far coesistere dentro di noi due paesi. A un certo punto diventa una necessità e dobbiamo ricostruire. I figli non ci sono, il vuoto si fa avanti, e va guardato. Ma, prima o poi, capita anche a chi ha una storia di anni alle spalle, i ragazzi crescono, e si deve rimettere mano alla propria vita e alla propria coppia, se il paese dell’amore è stato abbandonato.

A me succede così, tutte le volte sono felice per ciò che verrà e nello stesso tempo un po’ triste per quello che lascio. Poi allontano il senso di colpa, e cerco di essere presente, più che posso, mi ripeto che non sono indispensabile, che nessuno di noi lo è, e lo sforzo dovrebbe essere quello di portare piano piano i nostri ragazzi a staccarsi da noi. E noi da loro. Che ci fa tanto tanto bene.

Non chiedergli di compensare. A volte lo facciamo, buttiamo tutto su di loro.

Non è facile pensare a noi, a volte è più facile non farlo. Non mettersi in gioco. Far scorrere la vita sulle soddisfazione dei nostri figli. O sulle preoccupazioni.

Pensare a loro costantemente, a volte, è un non pensare a noi.

Invece non dobbiamo mai abbandonarlo quel paese, quello dove può abitare l’amore. Dove il nostro corpo vive e la nostra anima si sazia di cose belle.

A volte vorrei avere tutto, ma non si può. E forse tutta questa storia dei figli a metà (che poi per me è una metà illusoria) mi ha insegnato a riequilibrare. A lasciar andare, a perdere qualcosa per trovare qualcosa d’altro. Ad amare il mio compagno, dedicare del tempo, e a stare con le mie figlie, buttando la colpa quando non ci sono. Intanto loro ci provano sempre. A farci sentire in colpa. Come un gioco di ruoli. Ad esempio, la piccola domenica sera mi dice seccata: “Perché avete dormito qui?”.

“Qui dove?”.

“In casa nostra”.

“Mica abbiamo dormito nel tuo letto!” le ho risposto. “Ti ricordo che questa è anche casa mia”.

“Potevi andare da lui” ha ribattuto seccata.

Neanche le avessi tolto qualcosa e lei fosse mia madre, incredibile! Invece ero molto contenta di aver vissuto la mia casa con lui. Come abitare uno spazio che solitamente non condividiamo. È stato bello.

Stasera sono uscita da scuola che pioveva a dirotto. Un ombrello mezzo rotto e i piedi nell’acqua. Mentre camminavo è venuto buio. Ero scola. Avevo persino il viso bagnato. Eppure pensavo che, in fondo, era piacevole. Poi sarei tornata a casa, mi sarei tolta le calze, le scarpe, i jeans, mi sarei infilata un paio di calzettoni, un maglione pesante e mi sarei fatta un tè. Magari avrei acceso qualche candela.

La casa, il caldo, il dopo.

Forse è questo che cambia. La pioggia diventa sopportabile perché c’è un luogo in cui trovare rifugio. Un po’ come la separazione. Non solo quella dal partner, ma anche quella dai figli.

S’impara che dopo ogni pioggia, anche quelle fortissime che ci prendono in pieno, e ci trovano impreparati, il sereno torna sempre.

E se non ci fosse stata quella pioggia non ci sarebbero i calzettoni. Il caldo.

Il dopo.

Penny

2 comments on “www. cercasi sistemazione momentanea per figli. it. net. com…per amarsi un po’.”

  1. Mia figlia mi accusa spesso di essere una mamma atipica, troppo distaccata. Comunque differente dalle altre. Certe volte benedice questo mio modo di essere. Altre volte invece me lo scarica addosso nell’intenzione di scatenare i più grandi sensi di colpa dell’universo. In realtà, ha ragione. Lo riconosco. Non sono la mamma chioccia. I figli li ho svezzati e sono capaci di andare per la loro strada. Io posso solo addrizzare la rotta.
    E quante volte e in quanti (il marito, la mamma, le amiche!) mi ripigliano per i capelli per richiamarmi ai miei doveri di mamma. Ma alla fine non faccio altro che applicare il modo in cui mi sono presentata al mondo. Da sola, senza aiuti. Tutte le decisioni che ho preso me le sono caricate sulle spalle e ne ho dato conto, prima a me stessa, solo con ciò che ho prodotto io. Ed è questo che vorrei da loro per vederli pronti ad affrontare il mondo. Più una consistente dose di egoismo, che ammetto senza vergogna.

    • Condivido ogni virgola che hai scritto. La dose di egoismo la tengo per me e spero possano ereditarla. Senza vergogna. Anche si criticano di continuo e mi dicono che sono poco affettuosa, ma io le lascio parlare. So ciò che desidero per loro e so che non lo pensano sul serio. Penny
      Ps ti abbraccio.

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