Arrivo a casa. Lei ha il belino girato.
“Giornata no” dice.
È un fiume in piena. Marca male, penso tra me.
So già che tra poco sarò sotto l’occhio del ciclone.
Funziona così con le adolescenti femmine. Almeno le mie. Con i maschi non mi è dato saperlo.
Le propongo di andare a camminare sperando di interrompere l’imminente tragedia.
Usciamo. Lei continua a parlare, non si ferma, vede tutto nero: lei fa schifo, la nostra vita fa schifo, sua sorella fa schifo, io pure. Eccoci, ci risiamo, è arrivato il momento.
Chino il capo e aspetto. Per 15 minuti filati non fa altro che elencarmi cosa, come e dove sbaglio. Mi morsico la lingua, sto zitta, prima o poi la smetterà. In questi casi è l’unica soluzione. Ma lei si incazza e incalza. S’incazza perché non rispondo, intanto se rispondessi sarebbe uguale, forse peggio.
Ormai la tiritera la conosco. Parte da sé, tutte le volte, per arrivare a me. E salvarsi.
Ha sedici anni. Li ricordo bene. Il corpo goffo. Quel senso di inadeguatezza profondo. L’animo sempre mestruato. Il mondo contro. Come non capirla!
Così continuiamo a camminare. Provo una docile difesa senza nessun risultato. Deve buttar fuori quello che ha dentro. Non ci sono cazzi, però ci sono io.
Durante la strada del ritorno ha il fiatone. Le parole rallentano. Le accuse pure.
“Fanno schifo i sedici anni” affermo cercando di essere solidale con il suo caos emotivo.
Parliamo di diete. Di accettazione. Di percezioni che con il crescere passeranno. “Da grandi si sta meglio”, la rassicuro. E, alla fine del percorso, sembra calmarsi.
“Sai mamma, quando ti dico che non sei normale?” mi chiede a un certo punto.
“Ho ben presente” le rispondo.
“Ecco. Le altre mamme sgridano i loro figli perché non studiano, se prendono i brutti voti li castigano, tu mi mandi messaggini con gli scritti di D’Avenia, massime sulla vita che trovi nei libri, me la meni con questa storia che devo dare spazio alle mie passioni, capire quali sono i miei desideri…. E che palle!”
Sorrido. Non posso far altro. Spero in qualche modo di seminare.
“Non sono come te. Hai capito?” mi dice bloccandosi di colpo.
“Ho capito” le rispondo.
“Guarda che madre mi doveva capitare!” esclama. Ma ora il viso è disteso.
So che per conoscere se stesso ogni figlio deve andare lontano. Pensarsi e immaginarsi qualcosa di diverso da noi. Non sa quanto io lo desideri! Che sia diversa da me. Che impari a volersi bene prima di quanto abbia fatto io.
Entriamo in casa. La tormenta è passata.
È bastata un’ora. Questa volta mi è andata bene. Un’ora in cui mi ha fatto il mazzo per ritrovare se stessa, imparerà con il tempo che non sarà necessario per stare bene. Adesso canticchia.
Pure io.
E sono felice.
Di esserci. Come sempre.
Non importa quante volte spingerò affinché le mie figlie imparino a desiderare, perché continuerò a farlo, e quante volte loro mi diranno: non sono come te.
I figli non sono come noi. Questo, in fondo, è il bello.
La speranza è che siano nettamente migliori.
Penny
Sosodonne.com
Cara Penny, il pensiero di ciò che i figli penseranno di me come madre e di me come donna è un grosso “peso”.
Temo che non sarò mai all’altezza del loro giudizio.
Temo che potranno recriminarmi di avere “tolto” loro la possibilità di avere una famiglia unita una vita serena disponibilità economiche maggiori.
Mi chiedo se sia giusto togliere a loro delle “possibilità” per seguire i miei pensieri…
Riuscire a dire ai propri figli ciò che tu dici lorl “Ecco. Le altre mamme sgridano i loro figli perché non studiano, se prendono i brutti voti li castigano, tu mi mandi messaggini con gli scritti di D’Avenia, massime sulla vita che trovi nei libri, me la meni con questa storia che devo dare spazio alle mie passioni, capire quali sono i miei desideri…. ” È una gran cosa, una grande eredità…
Io mi chiedo quale insegnamento sarò mai in grado di far passare loro…
Che sono le bollette da pagare le cose importanti e serie, la paura di non farcela economicamente ciò che tiene uniti o seguire l’idea di una vita serena di perseguire i sogni e la verità dei sentimenti…
A me lo dice dai tempi delle elementari : sono rovinata???!!!
In bocca al lupo allora! Penny
Anche nello scontro, c’è confronto.
Mi figlia, invece, si chiude. Quanto vorrei che mi mandasse a quel paese, anche in malo modo! Almeno capirei che si è aperta una crepa.
A volte mi prende lo sconforto e penso che non riuscirò mai a vedere cosa c’è nel “suo” profondo.
Ma desistere, forse, sarebbe una sconfitta ancora più grande. Così insisto.
Silvia
Fai bene ad insistere, però la mia secondogenita è uguale, a volte, sanno contenere, più di noi. La chiusura è una difesa, è il loro modo di affrontare le cose, e se utilizzano quello vuol dire che è funzionale…sono diversi da noi…a volte migliori. Bacini. Penny