Le girls sono via da circa quindici giorni al campo scout e stanno per tornare. Solitamente non portano il cellulare ma quest’anno la grande, siccome è all’ultimo anno, avrebbe dovuto dormire da sola nel bosco, così i capi le hanno concesso di portarselo dietro ma di accenderlo solo in quell’occasione.

Per quella sera, sempre i capi, hanno chiesto di scrivere una lettera ai nostri figli, in modo che, trovandosi da soli nel bel mezzo del bosco, avrebbero potuto riflettere sulla loro crescita e sul rapporto con noi.

Così, prima che partisse ho preso uno dei miei quadernini (ne faccio la collezione), un quadernino giallo ocra con le pagine spesse e le ho scritto. Poi ho pensato che una lettera del padre potesse valere cento delle mie, mi sono immaginata i suoi occhi sgranati nel vedere qualche riga scritta da lui; così ho preso il telefono e l’ho chiamato. Gli ho detto che mi sarei andata a prendere la lettera e che bastavano solo due parole. Gli ho detto che le ragazze pendono dalle sue labbra e che basterebbe niente per avvicinarle.

Gli ho detto che io non basto.

Non so perché ci credo, perché penso che le cose possano cambiare. Cosa mi aspettassi. Ovviamente la lettera non c’è stata.

Comuque la mia girls grande, oggi mi ha telefonato, di nascosto. Guai a voi a chi fa la spia! Parlava piano, dentro alla tenda, che quasi non la sentivo. L’ha fatto anche la scorsa settimana, un attimo per dirmi che stava bene. Credo sia l’unica dei ragazzi ad aver chiamato casa. Lei ha bisogno di un contatto. Lei ha me.

Mi ha telefonato per dirmi che ha letto la lettera che le avevo scritto e si era commossa. Credo che fosse il suo modo di dirmi grazie. Chi è molto felice del campo, di come è stata con gli altri. Di se stessa. Era solo felice. Quella felicità semplice e contagiosa. Possibile quando sono lontano da noi.

Le ho chiesto della piccola. Volevo sapere se stava bene. Era il suo primo campo. Come se la cavava. “Ti occupi di lei?” le ho domandato.

“Certo mamma, tutte le volte che le succedeva qualcosa mi veniva a cercare”.

Ho pianto. Me le sono immaginate mentre si parlavano, si consolavano. Cercavano quel pezzo che era appartenenza. Proprio ieri che ho scritto il post su facebook sulla sorellanza, sono strane le coincidenze nella vita, a volte.

Ho pensato alla famiglia. La nostra. La loro che esiste oltre me, oltre questo padre che io non capisco. Alle cose che funzionano nonostante, a volte, noi adulti siamo un gran casino.

Alla sua voce, calda, soffusa. Parte di me. Alla ragazza che sta diventando. Alla paura che, a volte, mi attanaglia di non essere una buona madre. Di non fare abbastanza.

Sabato vado a prenderle. Mi sono organizzata. I passaggi li ho già scroccati. Adesso non vedo l’ora di vederle e di stringerle un po’. Mi chiederanno cosa ho cucinato conoscendo già la risposta. Puzzeranno e la roba da lavare sará mio compito, loro saranno troppo stanche! Nel giro di due secondi avrò di nuovo il desiderio di abdicare alla maternità. Per ora mi godo quest’assenza di peso. La mancanza che porta alla voglia di presenza.

Quell’idea di noi come famiglia. Luogo di legami. E non voglio più pensare che manchi un pezzo, la quarta gamba del tavolo; voglio immaginare che con quel pezzo prima o poi faranno pace.

Sono le mie figlie. E se non si fosse capito vorrei solo il loro bene.

Nient’altro. É quello che dovremmo desiderare per loro: il bene.

Il resto non conta. É poco pochissimo.

Aspetto il ritorno, che è il momento più bello delle partenze.

Aspetto loro. Le mie girl e la vita che portano con sé.

Dono di un amore che è stato. E io non voglio dimenticarlo. Mai.

Vi mando un bacino. A presto Penny

8 comments on “Il ritorno. Il momento più bello di una partenza.”

  1. Cara Penny,un tavolo senza una gamba resta in piedi,può traballare ma si regge in equilibrio. Un tavolo senza tre gambe è destinato a rimanere a terra finché chi lo ha privato delle gambe non si decida a riattaccarle facendosi carico del lavoro che serve per ripararlo. È un lavoro faticoso ma bisogna farlo se si vuole rialzare quel tavolo. Non facendolo vuol dire rimanere fissi sulle proprie idee, non voler crescere e anteporre il proprio risentimento sul bene che unisce un genitore ai propri figli, un bene che non dovrebbe finire mai anche quando finisce l’amore. Mi spiace per le tue ragazze. Ti abbraccio

    • Grazie Federica. Quando lui é mancante con loro io ho una fitta lancinante. Un dolore che nemmeno si puó descrivere. Forse é questo che vuole. Forse. So che posso fare la mia parte. Non la sua. Ti abbraccio Penny

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