Scrivo qui, come fosse un diario. Un luogo in cui chiudermi un po’ che, alla fine, come per magia mi apre. Come ritornare a casa, la sera di Natale, le luci accese, le strade deserte. Il sapore ultimo della festa.
A Genova piove, da ieri, quasi ininterrottamente. Mi piace. Lo sguardo verso la pioggia, il cielo che si fa quasi bianco. Il mare laggiù.
Ho imparato che ci sono io, il mio dentro. E poi c’è il fuori. Altro da me. Prima li confondevo.
Tanti di voi, in questi giorni, mi hanno scritto, mentre nella stanza accanto si festeggiava la felicità. Ogni pensiero espresso era familiare, perché l’ho provato. Mi sono sentita sola, persa. Una marea di volte.
E non è che quella sensazione di tristezza, con il tempo, sia sparita e nemmeno la solitudine, è solo cambiato il modo di guardarle entrambe.
Abbiamo questa strana idea che la vita debba procedere per atti di felicità continua. Non essere triste! Non piangere. Sorridi! Ci dicevano da piccoli. E noi continuiamo a ripetercelo.
Come se l’accenno a qualsiasi sentimento “altro” fosse da eliminare, per questo quando stiamo male, stiamo così male. Pensiamo che la felicità sia fatta di felicità e basta.
In realtà è fatta di attimi di tristezza. Ed è precaria. Da morire.
I giorni hanno un peso diverso e oscillano, ma quel peso e quell’oscillazione non si possono interrompere. Nemmeno a Natale.
Si mostrano le tavole, i sorrisi, ed è pure bello dire: siamo qui. Siamo noi. Questa è la nostra famiglia. Questa sono io dentro a questa storia, che è la mia. Dissimile e simile a mille altre.
Ma ciò che siamo continua ad esistere e anche le parti negate, quelle che ci fanno un po’ schifo.
E succedono a tutti le stesse cose. Qualcuno ne parla, altri no. Quel regalo assurdo. Quel ringraziamento dimenticato ad un parente. I musi. Chi mal si sopporta, ai lati opposti del tavolo. Il regalo che tanto aspettavamo non è arrivato o non era della misura giusta.
Ci sarà sempre un regalo della misura sbagliata. Un padre che tiene i musi, una madre che non è contenta. Una zia insopportabile. Un fratello che fa un dono a tutti tranne che a voi. Un posto lasciato vuoto, incolmabile.
Ogni famiglia ha le sue pecche, ogni vita le sue tristezze. E se la felicità avesse un colore avrebbe quello dell’arcobaleno, luce del sole che attraversa le gocce d’acqua.
Come a dire che la pioggia è necessaria. E, invece, non la vorremmo e quando arriva ci sembra che scenda solo su di noi. Ma non è così. Si sposta di continuo. Va dove serve.
E se guardassimo i nostri giorni per quello che sono, forse non avremmo così paura di stare male e di sentirci soli. Invece di guardare qualcosa che c’è solo nell’immaginario comune. Essere appagati. Di buon umore. Sereni.
Se le cose non vanno. Non vanno. Ma poi andranno.
E se pensiamo che sia finita lì, ci sbagliamo di grosso.
Siamo pioggia. E arcobaleno.
Tutti quanti.
Penny
bellissima…anche questo post mi ha commosso. Sono un marito separato che, per egoismo e stupidita` ha perso la sua amata compagna. E` sempre dura, perche` l`amore non si spegne, ma durante le feste il dolore si fa piu` martellante. Esco e vedo coppie di tutte le eta` che si affrettano nei negozi. In ognuna rivedo la serena felicita` delle piccole cose che ho gettato al vento.
buon anno e grazie delle bellissime parole
Quanto, tutto questo, è vero.
Già, è che lo dimentichiamo. Penny