Ho sempre avuto una paura matta di perdere l’amore, come se fosse una questione di merito. Un po’ come la scuola.

Se sarò abbastanza bella, abbastanza brava, se gli farò sentire il mio amore, lui mi amerà.

Così, tanto per non sbagliarmi, mi sono tenuta stretta una storia che mi è valsa l’adolescenza e oltre; a garanzia del fatto che anch’io potevo valere qualcosa. Un altro mi amava, quindi, potevo amarmi anch’io. Esistevo grazie ai suoi occhi, perché i miei non mi bastavano.

Eravamo come fratello e sorella. Lui conosceva i miei genitori, e io i suoi. Anni insieme, poi un appartamento condiviso per un po’. Quasi sposi, direi. Tutto secondo la norma.

Il problema, ma credo di averlo capito tardi, è che se la passione non è alimentata, se non si cambia insieme, se tutto diventa un “noi”, se non ci sono più confini, se l’amore è una rassicurazione, una stampella a cui appoggiarsi nel momento del bisogno, o un’asse su cui camminare in equilibrio, non è più amore. Ma altro.

Spesso stiamo dentro a storie stanche o pericolose che fanno male, per un unico motivo: la solitudine ci terrorizza.

Comunque, noi due eravamo così invischiati, ci volevamo così bene che non riuscivamo a lasciarci. Poi è successo. Per fortuna. Mi ha tradito per la bellezza di tredici mesi.

Me lo ha detto tutto d’un fiato, una sera a cena. Stava appendendo un quadro. Nel forno c’erano le melanzane alla parmigiana. Lo ricordo bene. Era tormentato. Forse ha pianto. Io di sicuro.

Quella sera l’ho cacciato pensando che tornasse. E mi chiedesse perdono. Invece lui diceva di amarmi, ma non riusciva a concludere la storia con l’altra. E mi ha messo in attesa.

Non sapeva lasciarmi. E io mi attaccavo con le unghie e con i denti alla speranza che scegliesse me. Che stronzata!

Insegniamo ai nostri ragazzi a non farsi del male, a dire basta. Che, a volte, diventiamo carne da macello. Che, a volte, stiamo in attesa una vita, e non c’è niente da scegliere. Bisogna solo lasciare andare. Anche se fa male.

Comunque, grazie a dio, il dolore del tradimento è stato così grande che ci ha permesso una rottura. Definitiva direi.

E nell’attesa stavo male, non facevo altro che piangere. Non sapevo come stare senza di lui. Non ero capace a immaginarmi. Ero in frantumi. Aspettavo la sua sentenza.

Una sera tardi, disperata, ho chiamato la mia psicologa. Ricordo ogni momento di quella telefonata, il viso gonfio, gli occhi che quasi mi facevano male; ero seduta per terra, nel monolocale in cui abitavo, appoggiata alla libreria che divideva la zona divano da quella del cucinino. Mi sorreggeva quasi, la libreria, e la voce della psicologa, eco della mia anima.

Lei, a un certo punto, dopo che per un’ora gli avevo parlato di lui, di quello che voleva o non voleva, mi fece una semplice domanda: “Ma tu lo vuoi un uomo così?”.

Ricordo di essermi fermata. Ho deciso in un attimo. Perché le decisioni, quelle che sono lì da sempre, che costruiamo anche quando non sappiamo di farlo, si prendono in due secondi netti. E io l’ho fatto. Non lo volevo un uomo così. Volevo un amore che mi facesse stare bene. E per trovarlo avrei dovuto affrontare la solitudine, non c’era altra strada.

Così ci siamo lasciati, o meglio l’ho lasciato e lui non ha mosso un dito per riprendermi, e per dieci anni non ci siamo più incontrati. Poi un abbraccio veloce, un giorno per caso vicino alla metro, lo ricordo con tenerezza. E il giorno del funerale di mio padre l’ho rivisto al cimitero. Era con sua moglie e la sua bambina. Erano belli.

Qualche giorno dopo mi ha scritto, e ci siamo detti quello che non siamo stati capaci di dirci allora. Che ci siamo voluti bene, che siamo stati importanti l’uno per l’altro, per la nostra crescita. Che nulla va rinnegato. Ma ogni pezzettino della nostra storia serve a costruirne un altro.

Come un mattoncino.

Gli devo tanto. In fondo è stata la mia adolescenza, la mia prima volta, il primo ragazzo davvero conquistato, la resistenza, e con lui mi sono sentita bella per molto tempo.  E oggi, senza esserci amati, non saremmo di certo l’uomo e la donna che siamo. Allora ogni amore, anche quelli che fanno male, quelli per cui si dice, mai più, servono a farci capire cosa desideriamo. È quella la nostre asse di equilibrio. Non l’altro, ma sapere cosa vogliamo.

E per vivere veramente dovremmo smetterla di riparare al passato. Che non c’è niente da riparare. Tutto serve. E noi siamo il prodotto di ciò che siamo stati. E non dovremmo rinnegare mai.

A volte, quando penso al mio matrimonio, quando mi sento sola, chiudo gli occhi e mi chiedo perché. Perché mi sono innamorata di un uomo come lui, ‘ho sposato, e ci ho fatto dei figli?

Vorrei riavvolgere il nastro e fare un replay, ma non si può. Così, posso solo riaprire gli occhi. E guardare quello che c’è.

Ho due figlie che amo, ce ne sarebbe state altre, forse, ma ci sono loro. E sono il mio destino.

E oggi non sarei qui, dentro a una vita che è la mia.

E non so, forse sono stupida, ma penso che possa andare.

La mia vita, intendo. Devo volerle bene.

Per amare. Oggi meglio di ieri.

E questa è davvero una grande speranza.

Essere migliori di quello che siamo stati.

Penny

 

14 comments on “Se l’amore si rompe. La solitudine irrompe.”

    • Dimmi che stai bene, dimmi che non nevica, che sei coperta e cammini sempre sui tacchi. Ti abbraccio e ti penso. Tanto.

    • Tu Francesco devi capire se puoi far qualcosa per questa donna, tutto ciò che credi sia possibile, poi devi provare a voltare pagina. Devi farlo per la vita che rimane, hai il diritto di amare ed essere amato. Non esiste la donna giusta, esistono delle possibilità d’amore, non te le perdere. T abbraccio tanto Penny

  1. ..Un abbraccio carico di umanità ed empatia per te che conosci il tuo cuore e il cuore di tante noi.. leggerti è sempre riconoscersi.

    • Credo fermamente che sia importante procede, ma lanciare sempre uno sguardo indietro. Siamo il nostro presente, il nostro passato e il futuro. Bacini.Penny

  2. Sai anch’io mi domando spesso perché…..poi il gioioso sorriso della mia stupenda babanetta di sette anni mi fa pensare che questo era il mio destino ….. insieme a lei
    Grazie come sempre?

    • Già, un bel destino se ci si pensa. Ricordiamoci di dirglielo. Ti abbraccio Monica e abbraccio alla tua piccola. A 7 anni sono ancora cuccioli! Bacini tanti. Penny

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