Chissà perché ci chiedono di essere felici e di mostrarla costantemente questa felicità.

Di essere pronte, dentro a una famiglia, o di avere qualche figlio appresso.

Domande continue sul nostro stato sociale. Senza voler sapere realmente chi siamo.

Domande sessiste, agli uomini di certo nessuno gli chiede:” Sei sposato?” o “hai dei figli?”.

Domande che ci costringono a rispondere a una pressione sociale di felicità manifesta.

E, allora, mostriamo sui social il nostro benessere. Noi al mare, noi sorridenti, noi a fare cose, noi e il nostro amore, noi e i nostri figli.
Che non ci va di deludere.

E tutti pensano: guarda come è felice!
E tutte pensiamo: perché io no? Cosa mi manca?

Perché è nelle stanze segrete che viviamo la solitudine, la preoccupazione, l’ansia che non si possono mostrare.

Tutti sentimenti che non si devono manifestare e se non li mostriamo rimangono un problema nostro.

Il mondo ci vuole felici, a tutti i costi, e noi? Noi stiamo al gioco e continuiamo a mostrare. E i nostri figli mostrano. Le figlie mettono in vetrina il corpo. Come fosse un gioco. Un po’ come noi.

Loro impostano la bocca a cuore, inclinano il capo e aggiungono lo sguardo languido. “Guarda come sono bella, sexy, accattivante e soprattutto felice”.

E non c’è condanna in queste mie parole, chi mi conosce lo sa, penso solo che siamo vittime di un sistema a cui dovremmo sottrarci. E pure io lo sono quando spingo la mia felicità a tutti i costi, come fosse un carro da sfondamento. Quando mia figlia è triste e io le dico di non esserlo.

Invece, se penso alla vita, nella sua essenza, se mi fermo un attimo, so che sentimenti come la malinconia, la solitudine, la paura, il dolore, sono necessari. Solo i morti ne sono esenti.

Chi vive, chi ha il cuore pulsante, può trovare un po’ di felicità attraverso contrattazioni continue con l’infelicità. Attraverso spazi di sofferenza, delusione e agilità emotiva, come la chiama qualcuno.

E, allora, oggi ho voglia di manifestare il mio diritto all’infelicità. Il diritto a stare male. A non essere sempre in bolla. A cadere. Fare cazzate, di cui poi mi pento. A sbagliare e anche di brutto. E per fortuna, spesso si può tornare indietro. Che, in fondo, è un andare avanti.

Oggi, qui, in questo blog che ci vuole vicine, mi sento di dire: spesso sono confusamente infelice. Spesso ricerco la felicità. A volte la trovo, altre l’anelo disperatamente.

E quando faccio le fotografie, sono felice. In quell’attimo lo sono. Ma esiste un’altra parte che necessità di verità e che non voglio nascondere.

Penso a una frase che mi viene detta legata al successo del libro. Penso alle presentazioni. Io sono la stessa sia in quelle in cui c’è un pubblico sostanzioso, sia nelle altre, in cui, compresa me, siamo in quattro. E c’è delusione. Certo. Ma anche questo fa parte del gioco. Essere delusi e poi scoprire che tutto vale la pena.

Nominare le emozioni, mostrarle, ai propri figli, a se stessi, vuol dire solo una cosa: raccontarci la verità. E non intasare il cuore.

Che il cuore è l’unico organo senza cui non possiamo vivere. Possono toglierci la milza, persino un polmone, ma senza cuore muoriamo all’istante.

Una verità felice mi verrebbe da dire, che comprende attimi di infelicità.

Pensate che sollievo. Per noi. Per i nostri figli.
Poter essere, invece di dover mostrare.
Chissà cosa racconterebbero le immagini.
La nostra storia, forse quella autentica.

Perché qualsiasi scatto coglie quello che coglie. Un istante che immobilizza e forse quel sorriso stampato, non ha nemmeno avuto luogo dentro al cuore.

Perché è solo il sentire quello che conta. In fondo siamo da qualche parte nel paesaggio.
Me il nostro cuore no, è in un punto preciso e sa dire cose di noi.

Quelle che contano

Penny
#ilmatrimoniodimiasorella

PS siate voi e non preoccupatevi di mostrare. Ma di sentire.

Vi abbraccio.

3 comments on “La felicità manifesta. Il diritto a essere infelici.”

  1. Essere me stessa. Proseguire sulle scelte fatte. Adoperarmi per i figli (che bella anche la chiacchierata sulla spiaggia col figlio adolescente e constatare che sta acquisendo pensieri giusti, e soprattutto si pone domande). Vivere il presente, qui o ora, insistendo perché nel domani ci sia sempre qualcosa che mi piace. Questo è nel concreto quotidiano la mia felicità. Ma non appare sui social. E’ mia.

  2. Il passaggio della foto, Penny, è strabiliante. Ogni volta che le riguardo ricordo perfettamente lo stato d animo in cui ero…

    Il diritto all’infelicita’.
    Insegnare ai figli che esistono tante emozioni, nominarle e fare capire loro che tutte sono necessarie.

    Sai, io non credo che siamo alla ricerca della felicità. Ma della serenità. Uno scampolodi serenità.

    Scrivi ancora Penny.

    Io ogni tanto rileggo “Ai figli ci sono cose da dire” per non perdere “il filo” e provare a fare passare loro qualche messaggio.

    Un abbraccio

    • Possiamo chiamarla come vogliamo. Il valore non cambia, che sia felicità o serenità, l’importante è cercarla. Sempre.
      Tua Penny

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