“Il modo più comune per portare una madre al crollo, da tempo memorabile, è costringerla a scegliere tra l’amore per il figlio e la paura che la comunità farà del male a lei e al figlio se non si conforma alle regole”.
Ecco dove sta l’inghippo. Perché siamo tormentate quando capiamo che una storia è finita o sta finendo. Quando capiamo che l’amore si è perso. Quando sappiamo che non siamo felici. Quando un uomo ci fa del male. Quando veniamo ricattate con il mantenimento per i figli.
Potrei sostituire la parola “madre” con “donna” e il risultato non cambierebbe. È la comunità che ci richiede di “stare”, di non sovvertire le regole (Quando ti sposi? Quando ce lo fai un piccino? Quanto male farai ai tuoi bambini se abbandoni tuo marito? Sei una distruggi famiglie…te la sei cercata…potevi non separarti… ).
Forse per questo non ci protegge ancora a livello economico. Così siamo deboli e ancora un po’ sottomesse.
Perché, in fondo, la nostra, è una società prevalentemente maschilista, ed è da secoli che le donne sono spinte a “comportarsi come si deve”.
Noi donne, spesso, o siamo da “cambiare” o diventiamo una “reliquia”. A noi la scelta.
E quando proviamo a dire no, pecchiamo di audacia e coraggio, caratteristiche prevalentemente maschili.
Sapere di trovare la forza per cambiare le cose dovrebbe trovarci “orgogliose” .
Sovvertire le regole, di fatto, vuol dire, non solo modificare la nostra vita, ma attuare un cambiamento sociale.
Quindi a chi sbotta, chi non ce la fa, chi sovverte, chi si ribella, contro il generale consenso, per salvare se stessa, va il mio plauso. Non sentitevi in colpa, ma fiere di voi stesse.
Cambiare il pensiero a livello profondo è un atto di coraggio. La speranza è che le future bambine, quando si affacceranno al mondo, non verranno addomesticate ad essere obbedienti. Ma potranno essere curiose, abili, audaci, creative e desiderare il desiderabile. Non avranno gabbie e confini in cui dover stare.
E questo, se mi permettete, è quello che dovrebbe spingerci a continuare a cambiare le cose, consapevoli della nostra forza. Oltre al fatto di perseguire con ostinazione la nostra felicità.
Perché la forza, non è un sostantivo maschile. E neppure la felicità. Sono dentro di noi e ci appartiengono, solo che ci hanno abituato a non riconoscerla e quando ribolle crediamo siano da sedare.
Ci immaginiamo nevrotiche o rompicoglioni. Una donna che chiede è denominata così. Invece il turbamento, quelle mosche fastidiose nello stomaco, quel non essere soddisfatte, spesso, sono ciò che ci salva da una vita a scontata e già scritta.
Alle donne. Al coraggio. Va il mio plauso. E dovrebbe avere anche il vostro.
A noi. Alle anime non addomesticate.
Penny
#ilmatrimoniodimiasorella
Nulla da aggiungere…..sempre assolutamente d’accordo, Al coraggio di cambiare!
Ci vuole coraggio e un progetto verso il possibile, anche se non sembra. Ti bacio. Penny