Ho lavorato tanto in questi giorni. Da quando è incominciata la scuola non ho pranzato più a casa e ho lasciato le girls al loro destino. Ieri primo giorno di scuola. Una pausa breve. Ancora lavoro.

Alle cinque esco. Faccio un pezzo di strada con una mia collega coetanea che non ha figli. I piedi mi fanno male. Sono davvero stanca. L’ emozione, oggi,  è stata forte.

“Ti invidio un po’”, le dico. E il solo pensarlo mi fa sentire una madre di merda. Eppure qualche volta lo penso. Vorrei arrivare a casa e non dovermi preoccupare di quello che avranno da fare. I compiti. Le crisi adolescenziali. Vorrei solo allungare le gambe. Chiudere gli occhi. E scegliere il film da vedere al cinema la sera.

Ne posso parlare con lei perché ci vogliamo bene e chi si vuole bene si comprende.

Lei scuote il capo. “Non credere”, mi dice. “Certe volte sono contenta di avere del tempo per me. Ma sul piatto della bilancia, non avere figli pesa più di tutto il resto”.

Penso che chi non ha figli li vorrebbe. Chi li ha, ogni tanto, desidera il ritorno di quell’assenza di responsabilità che sfianca.

Poi parliamo dell’amore e le chiedo: “Sei felice?”. Non so perchè lo faccio. Ma mi interessa sapere come sta chi ho vicino. Cosa prova. Cosa desidera. Vorrei che stesse bene.

E lei mi risponde:” Sono serena. Diciamo, però, che la felicità, abita altrove”.

La guardo. Ci abbracciamo strette. È capitato spesso in questi giorni. Eravamo contente del lavoro che stavamo facendo. Di essere insieme. E poi parlare di certe cose rende intimi. Ed è stata per entrambe una bella giornata. Per me quegli abbracci hanno il sapore della felicità.

Forse ognuno di noi ha il proprio modo di valutare le cose. Chi la chiama serenità. Chi non riesce a darle un nome. Chi non l’avverte. Chi si lamenta. Ma è lì. Deve esserci. Forse non la vediamo.

Prendo la moto e penso che sono le cinque e mezza e oggi era il primo giorno di scuola anche delle mie girls. Un nuovo anno. E io non sono ancora rientrata. Le avevo sentite per pranzo: mangiate insieme. Non sul divano. Poca tv.  Intanto non faranno niente di quello che  ho detto.

Le  richiamo, prima di partire, per dir loro che sono viva. Una è da un’amica. L’altra è fuori. Mi sollevo. Ne approfitto per comprare del materiale scolastico. Non voglio che arrivino a scuola senza. O siano sempre le ultime ad averlo. Dettano al telefono colori e quantità.

Entro in casa metto su il sugo. E penso se posso concedermi un aperitivo con le mie amiche, alle sei e mezza, quasi sotto casa. “Un’oretta” mi dico per alleviare la coscienza. Ci vado ma non lo faccio a cuor leggero. Tutto ciò che è per me non lo faccio a cuor leggero. Ma poi qualcosa mi porta lì. Nella vita oltre le mie figlie.

Beviamo un bicchiere di rosso e ci raccontiamo dei nostri inizi. Dei figli, per lo più. Qualcuno del marito che rompe. Di noi. Quel noi che ci fa sentire meno sole. Il tempo passa. Sono le otto. Vorrei stare lì con loro e anche a casa con le girls. Che non le vedo da stamattina.

Quando torno hanno già cenato. Si stanno insultando perchè una delle due non voleva mangiare la pasta. Mi inserisco. Chiedo come è andata la giornata. Come è stato il primo giorno. Come se non ci fossi. Mi sento in colpa. Dovevo rientrare prima. Non andare all’aperitivo. Esserci.

Mi spoglio. Mi lavo. Carico la lavastoviglie. Metto a posto delle cose. E loro litigano ancora. Apro il divano e mi sdraio. I piedi mi fanno male. Sono stremata. Chiudo gli occhi un attimo.

Sono una pessima madre. Mi dico.

È che mi piace il mio lavoro da pazzi. E prendermi degli spazi. E stare con le amiche.

Dopo poco arriva la piccola mi chiede dei miei di piccoli. È due giorni che le canto la canzone Avevo uno zainetto.

“Ho fatto un video” le dico.

“Fammelo vedere”. Si sdraia insieme a me e commenta. “Come sono piccoli!” esclama. Intanto mi prende il dito e lo accarezza.

E vuole sapere tutto. Come si chiamano. Se mi piacciono. Come sono. Se le aule sono cambiate. Quando vede che canto mi dice: che orrore!

Stiamo lì. Vicine. Quella è stata anche la sua scuola. Lo sento che vuole esserci nella mia di vita.

Poi mi dice che è stanca. Mi bacia e se ne va a dormire .

Dopo un secondo arriva l’altra. “Anche io voglio vedere quanto sono piccoli, poi mi correggi i temi di compito?”.

E così si sdraia anche lei. Guardiamo il video. Critica implacabile: come eri brutta. Dio che figura. Sta canzone: che noia! Poi guarda i bimbi e sorride. Correggiamo i testi. Sdraiate a pancia in giù.

Uno dei temi parla della felicità. E io penso che sia un bel tema da dare a scuola. Mia figlia scrive: la prima meta nella vita penso sia quella di raggiungere la felicità. O per lo meno dovrebbe essere una di quelle prioritarie. Vorrei che fosse davvero così per lei e per l’altra. Allora  sarei stata una buona madre.

Penso che ognuno fa le sue prove di felicità. Chi ha figli. Chi sta solo. E quello che abbiamo in un modo o nell’altro non ci basta mai. E forse, è giusto così. O forse, ogni tanto, dovremmo fermarci e godere del nostro tempo. Qualunque esso sia.

Comunque è necessario per tutti fare prove di felicità continue. Che ci si inciampa. Si resetta. Si cambia. Fino a quando cogliamo quegli attimi in cui siamo veramente felici. E poi si ricomincia. Perchè mi sa che la vita sia un percorso ad astacoli e se non fosse così sarebbe una noia.

Le mie prove di felicità sono un continuo mediare tra il mio essere madre, compagna, donna che ama il suo lavoro, che coltiva le sue amicizie. Nella speranza che le mie figlie un giorno non siano tutte madri. Che sappiano desiderare.

Prima di addormentarsi le girls mi urlano dalla stanza: “Ci svegli tu?”

Ci sono. Alle sette ci sono. E mi sento a posto.

Scrivo il post per domani. Apro la loro stanza. Voglio vederle. Sapere che sono lì con me. Dormono. La piccola alla rovescia. Chissà perchè. Però a me piacciono le cose alla rovescia. Mi preoccupo tanto, poi basta un ritrovarsi.

C’è silenzio. Loro sono le mie prove di felicità. Una parte importante. Il resto conta. Ognuno fa le sue. Di prove. Hanno tutte valore con o senza figli. A volte funzionano, a volte meno. L’importante è sapere che siamo in movimento. In ricerca. È ciò che dobbiamo perseguire. E spesso si trova nelle cose di tutti i giorni.

Il lavoro. Un abbraccio. Un sugo preparato. Una preoccupazione. Un esserci che non è per forza presenza. Un aperitivo con le amiche.

Ci si prodiga tanto per essere al massimo di noi stessi ma basta un buon esserci nella vita dell’altro. Che, a volte, ci siamo troppo e facciamo male.

Oggi io ho fatto le mie prove di felicità. Domani sarà lo stesso.

Si procede per tentativi ed errori.  Basta fare prove. Farle sempre. Prima o poi la si azzecca.

Penny

6 comments on “Prove di felicità.”

  1. La felicità va in giro travestita per non farsi riconoscere, altrimenti tutti gli salterebbero addosso! Viaggia di notte come diceva il buon Dalla:” laaa felicitàaaaa, su quale treno della notte viaggerà! Sta nelle piccole cose, nel sorriso di un bimbino, nel sorriso di un vecchio che vive da solo, nello scodinzolare del tuo cane quando torni a casa ?, nel sentirsi in pace con se stessi e con il mondo!?????????????

  2. Il lavoro, l’abbraccio con un’amica, il sugo, l’aperitivo, la stanchezza, il sopportare le figlie, il condividere con le figlie… E il tempo che ci hai regalato scrivendo questo bellissimo post.
    Penny, sei una grande donna!
    Come tante di noi, credo. Sempre alla ricerca della felicità muovendoci per tentativi. Ed è proprio questa ricerca, a volte goffa, spesso infruttuosa, che alla fine è la felicità.
    Grazie

    • Mi hai commossa. Essere infruttuosa, alla fine, è bellissimo. E, a dire la verità, anche goffi. Permette movimenti liberi. Bacini e grazie Penny

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